Le
nuove frontiere dell’Europa
Cento
idee per lo sviluppo è il titolo del documento
preparato nel 1999 dal Dipartimento per le politiche
di sviluppo e coesione del Ministero del tesoro,
bilancio e della programmazione economica al fine di
programmare tempestivamente e con razionalità di
scelta l’uso dei circa 130.000 miliardi di fondi
strutturali a disposizione delle aree depresse
d’Italia, in
base al Quadro comunitario di sostegno 2000-2006. La
prenotazione finanziaria dei fondi viene vincolata
alla qualità dei progetti e alla verifica della loro
fattibilità.
Per
moltissime ragioni l’iniziativa costituisce, sotto
il profilo storico oltre che politico, un vero evento.
Innanzitutto si stabilisce che le politiche italiane
di promozione dello sviluppo sono oggi “un pezzo
d’Europa”. Ciò implica coerenza col sistema
regolativo comunitario e con criteri di distribuzione
delle risorse. Implica inoltre capacità innovativa e
progettuale adeguata alla nascita di una nuova entità
economica e istituzionale.
Smentendo
le diffuse idee che associano le regioni meridionali
italiane a politiche protezionistiche e alla
dipendenza dalla spesa statale, sono evidenziate e
valorizzate la disposizione verso l’apertura
internazionale e verso politiche fondate sulla fiducia
e sulla concorrenza.
L’uso
dei fondi strutturali per le aree depresse delinea
metodi, procedure e criteri validi per tutti gli
investimenti pubblici e costituisce un aspetto di
quella che Carlo
Azeglio Ciampi ha
definito “la nuova programmazione economica”.
Di
quale nuovo Stato e di quale nuova programmazione si
tratta?
In
primo luogo si tratta di uno Stato responsabile in
prima persona degli investimenti, quindi
necessariamente dotato di intelligenza allocativa e
velocità decisionale. Tale riassunzione di funzioni e
responsabilità non significa né centralismo né
statalismo, ma esattamente il loro contrario. Il nuovo
Stato che programma è leggero, fondato sulla sussidiarietà
delle
funzioni e sulla ricerca del partenariato fra tutti i
possibili interlocutori istituzionali economici e
sociali. La nuova programmazione prende atto di un
nuovo dinamismo di molte amministrazioni e sistemi
imprenditoriali locali.
Nella
nuova programmazione lo Stato centrale, infatti,
concorda e detta regole e tempi, quantifica e
qualifica i suoi investimenti, diffonde e promuove
metodi, idee e prassi, ma le scelte concrete di
investimento sono essenzialmente responsabilità
territoriali e rafforzano i livelli decentrati di
governo. In particolare le procedure indicate dal
ministero del Tesoro per la promozione dello sviluppo
tendono a rendere effettiva nel loro campo d’azione
quella cosiddetta “riforma federalista” dello
Stato che le parti politiche si sono da tempo
impegnate ma non sono riuscite ad attuare
Dar
voce al territorio significa restituire il dovuto peso
non solo alle necessità, alle utilità e alle libertà
dei soggetti locali, ma dare respiro al funzionamento
del mercato, restituendo ai contesti il loro valore
nel produrre vantaggi o ostacoli, riconoscendo nel
territorio stesso i caratteri di un sistema integrato,
liberando iniziative produttive nei più diversi
settori, ampliando le possibilità di richiamo di
capitali locali, nazionali ed esteri. La stessa
validità degli investimenti pubblici si misura sia
attraverso gli effetti diretti sul benessere dei
cittadini, sia attraverso gli effetti indiretti sulla
convenienza ad investire. Il compito dello Stato è
“creare le condizioni in cui ai soggetti privati
siano facilitati comportamenti virtuosi”. Inoltre
gli investimenti pubblici mirano alla mobilitazione di
altrettanti capitali privati attraverso la finanza di
progetto.
Dar
voce al territorio significa includere nelle politiche
di sviluppo la questione ambientale; significa
considerare l’ambiente stesso come “una risorsa da
valorizzare sia per la sua tutela che per la capacità
di generare impresa”. L’obiettivo degli interventi
è da una parte l’eliminazione dei notevoli
svantaggi ancora esistenti in molte regioni
meridionali in materia di legalità, sicurezza, qualità
e costo dei trasporti e delle comunicazioni,
disponibilità d’acqua, servizi finanziari e costo
del denaro, dall’altra l’avvio deciso ed
irreversibile di uno sviluppo economico capace di
autosostenersi. Il
patrimonio storico e culturale delle regioni
meridionali,
le grandi città, i sistemi di rete e di
comunicazione, la formazione e l’informazione, la
ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica, la
specializzazione produttiva nel confronto col mondo,
costituiscono le carte vincenti anche per la scommessa
del Sud, e della Sicilia in particolare, sul loro
futuro.
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