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“L’Effetto serra” sull’economia iblea

Il successo di questo sviluppo agro-industriale nasce dalla sinergia di molteplici fattori e dalla storia «lunga» di un territorio plasmato dal lavoro plurigenerazionale degli uomini. Il recente boom floricolo, ad esempio, ha alle spalle una continuità di trasformazioni fondiarie e di innovazioni agronomiche sperimentate sugli stessi terreni. Un caso esemplare è quello della “Mediterranea fiori” di Bosco Rinelli (Acate), una società cooperativa che, dopo una ventennale esperienza nel comparto ortofrutticolo, dal 1994 si è specializzata nella coltura protetta del crisantemo programmato, collocandosi tra le aziende leader a livello europeo con una produzione annua di 22 milioni di steli. Quattro fattori concomitanti hanno innescato il circolo virtuoso investimento/profitto: alcuni abili imprenditori locali, una provvida legge regionale (la 23/90 sulle agevolazioni all’agricoltura), la consulenza di tecnici olandesi per la realizzazione “chiavi in mano” di un impianto di 60 mila mq. in ferro e vetro, l’intervento finanziario della Banca Sant’Angelo per erogare l’investimento iniziale di 10 miliardi di lire.

L’associazionismo dei produttori è un’altra chiave di spiegazione del modello imprenditoriale ibleo. Proprio nella filiera ortofloricola la cooperazione ha rappresentato insieme l’incubatrice e il filtro selettivo delle imprese, costituendo un patrimonio notevole di organizzazione e di tutela degli interessi collettivi. La “Rinascita” di Vittoria è oggi la più importante cooperativa del Mezzogiorno: nata nel 1964, ha gradualmente diversificato indirizzi colturali e sistemi di commercializzazione, cosicché nel 1998 vanta un fatturato di oltre 50 miliardi, 1400 soci e 250 dipendenti, due centri di stoccaggio e condizionamento (uno a Vittoria per ortaggi e fiori, l’altro a Mazzarone per l’uva da tavola), 300 ettari esclusivamente destinati a sperimentare i metodi della “lotta integrata” per l’agricoltura biologica, contratti di fornitura con le principali catene della grande distribuzione, un eccellente know how per la promozione e tipicizzazione dei prodotti a marchio. Le cooperative “Risorgimento” di Santa Croce Camerina e “Agrisud” di Vittoria hanno riproposto la carta vincente dell’associazionismo. La prima, fondata nella 1971 da un gruppo di piccoli coltivatori di Donnalucata (Scicli) per avere una presenza diretta nel mercato degli ortofrutticoli, conta oggi oltre 500 soci e un fatturato di 15 miliardi. La seconda è nata nel 1973 e, dopo un quarto di secolo, “governa” l’attività di 915 produttori associati, dispone di una superficie coltivata di 2463 ettari (1183 per agrumi e 1280 per ortaggi) e commercializza sette diverse “etichette” di vino (in particolare, il cerasuolo Doc), offrendo nel contempo ai soci una vasta gamma di servizi finanziari ed assistenza tecnica.

Questo fiume di ricchezza e di prosperità prodotto dalle serre coperte e a pieno campo presenta alcune zone grigie, connesse ai vorticosi giri speculativi, alle intermediazioni parassitarie, alle infiltrazioni criminali. Il mercato vittoriese di Fanello, con i suoi 2 milioni di quintali di ortofrutta commercializzata ed un volume d’affari di 350 miliardi (il quinto in Italia in ordine di grandezza), è un crocevia essenziale per comprendere luci ed ombre dell’“oro verde”, con gli aspri conflitti tra commissionari e commercianti, con le faide tra gruppi rivali per controllare il lucroso indotto degli imballaggi e quello dei trasporti. Oltre al pieno ripristino degli spazi di legalità, il futuro della “fascia trasformata” è affidato alle “sfide” della ricerca scientifica e dell’innovazione agronomica, con l’obiettivo di ridurre l’impiego di antiparassitari e fertilizzanti chimici per approdare a una produzione biologica e di alta qualità, in grado di mantenersi competitiva rispetto alla concorrenza delle altre agricolture mediterranee.

Questo modello d’imprenditorialità diffusa, creato dalle serre e dall’orticoltura a pieno campo, appare senza dubbio vincente nel confronto inevitabile con la politica dei poli di sviluppo. Paragonando la capacità produttiva e le potenzialità dell’agricoltura iblea con le speranze deluse dal polo petrolchimico (oggi afflitto da una grave crisi di ristrutturazione) appare evidente come il rispetto della storia e delle vocazioni “naturali” del territorio hanno innescato un processo di sviluppo autocentrato che, in termini di investimenti e di occupazione, si è rivelato vincente rispetto al fallimentare insediamento della grande industria. L’agricoltura “ricca” degli anni ottanta ha posto così le basi per l’originale sistema agro-industriale dell’ultimo decennio.

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  Sommario
     
  Ragusa e la sua Provincia: un Mezzogiorno "dinamico"
  Da antico granaio a distretto agro-alimentare moderno 
  “L’Effetto serra" sull'economia iblea
  Zootecnia e allevamento, il secondo pilastro dell'economia ragusana
  La moderna industria lattiero-casearia
  Il “Progetto ibleo” per garantire le produzioni di qualità
  Altre forme di ricchezza
  Un bilancio del “modello ibleo”
  Lo stereotipo dell’arretratezza
    
     
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