Il
peso della storia
Come un
macigno, il passato ha lungamente pesato sulle spalle
della Sicilia. All'indomani della guerra, volgendosi
all'ieri, il panorama era quello, angoscioso, di un
mondo in rovina. Le macerie dei bombardamenti alleati
sembravano solo l'emblema di uno sfacelo più antico e
profondo, tragica quinta di una scena di devastazione
morale ancor più che materiale. Il regime fascista
aveva spento le inquietudini culturali, i fermenti di
innovazione, l'apertura all'Europa che avevano
contrassegnato la piccola belle
époque siciliana. Se le spinte modernizzanti
della Palermo dei Florio
erano sfumate nella ruralizzazione e nella battaglia
del grano, l'utopia della Milano del sud era
naufragata nel conformismo intellettuale della Catania
di Vitaliano
Brancati e di Ercole
Patti, i cui personaggi, alle prese con un
mondo irrespirabile, avevano preferito fuggire, alla
ricerca dell'aria, più frizzante e vitale, del
continente. A chi era giovane negli anni Trenta e
Quaranta, la Sicilia era apparsa come una terra
immota, avviluppata e bloccata da inveterate
tradizioni di sopraffazione e dominio che le imprese
del colonnello
Mori non avevano neppure scalfito. Stretta
nella plumbea atmosfera di una religione di stato che
poneva l'altare al servizio di un trono totalitario,
l'intelligenza isolana si era rifugiata in
quell'interiorità metafisica, sublime e astorica, cui
Luigi
Pirandello aveva dato un volto, e un'anima
La
guerra e l'invasione anglo-americana avevano così
condotto alla sconfitta una Sicilia già rassegnata,
mortificata nei suoi ingegni migliori, rinchiusa in sé,
avvilita. Il conflitto bellico aveva sollevato il
coperchio dell'orcio di Pandora e ne erano usciti i
mali che il ventennio aveva covato, ma, contrariamente
al mito, ne era uscita, gridante, anche la speranza.
La speranza della pace, che animava la protesta del “non
si parte” ma soprattutto la speranza della
terra, motivo ispiratore delle lotte
contadine, che rinverdivano il ricordo antico
del movimento dei Fasci.
In
anni difficili e tumultuosi, lentamente, il caos si
ricomponeva attorno alle insegne contrapposte della
Democrazia Cristiana da una parte, e del Partito
Comunista dall'altra, mentre lo spauracchio separatista
conduceva ad un'autonomia
regionale fragile e sotto tutela, insanguinata
dai morti di Portella delle Ginestre. L'Italia di Don
Camillo e Peppone viveva così anche in
Sicilia il suo momento, e l'isola era divisa pur'essa
fra bianchi e rossi, ma accomunata, occorre
sottolinearlo, dalla rimozione di un passato sentito
come fardello, vincolo, ostacolo, quasi una
maledizione.
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