Dove
fioriscono i limoni
La
Sicilia è stata la terra per eccellenza dove
fioriscono i limoni, “wo die citronen blümen”, e
quella famosa frase di Goethe,
divenuta icona nelle cartoline illustrate e nei
manifesti del Touring,
nell'immaginario degli emigranti e nella
rappresentazione filmica, suggerisce molto più di
un'attività economica tradizionale e in declino,
evoca un mondo, e con esso un'appartenenza. Per questo
occorre prestare attenzione all'oleografia naif e
struggente dell'Isola, che ripropone passivamente e un
po’ ossessivamente il solito menù fatto di arance e
fichi d'india, carretti e coppole, pupi e cannoli:
oggi sappiamo che non si tratta dell'inventario
inutile di un trovarobe senza clienti ma di una
risorsa identitaria. Che non è più tempo di gettar
via i mobili della nonna e i vecchi cari oggetti del
tempo che fu. Il mondo globalizzato, mentre disancora
gli individui, impone anche in Sicilia il culto del
ricordo e, naturalmente, l'invenzione della
tradizione. I ritmi incessanti della trasformazione
esigono adattamenti difficili, generano rimpianto. Per
tutto questo, e per molto altro ancora, quel paesaggio
umanizzato, lavorato, intessuto di storia e di vita
non si può abbandonare, va considerato nel suo
insieme un patrimonio da ri-vivere.
Occorre
ripartire perciò dal paesaggio, dai tanti paesaggi
delle cento Sicilie, e prima di tutto dai suoi solchi
antichi, le trazzere, i percorsi dei muli, disposti a
raggiera, dalle montagne al mare. D'inverno, dalle
cime innevate dei Nebrodi, dei Peloritani, delle
Madonie, le mandrie e i greggi scendevano a mare,
lungo percorsi che seguono l'andamento orografico, e
lo marcano, vere e proprie rughe del paesaggio.
Ripercorrere questi sentieri (restaurarli? salvarli
dall'incuria e dall'abbandono?) significa scoprire un
mondo nascosto, quello dell'interno siciliano.
Significa seguire l'alternarsi dell'alberato al grano
e al pascolo fino al punto in cui prendono il
sopravvento la quercia, e il castagno, i boschi radi
di un'Isola che fu detta, al tempo degli Arabi, verde.
Il problema del bosco in Sicilia è troppo serio per
lasciarlo in mano alla pur meritoria opera della
guardia forestale, è un problema di salvaguardia
della diversità biologica, e per dirla con una
battuta, non si risolve con piantagioni di eucalyptus.
Si tratta di un'opera di riprogettazione essenziale,
da condurre con la consapevolezza che il paesaggio
siciliano è lavoro umano naturalizzato. Forse non
opera d'arte, come il paesaggio toscano, ma
sicuramente una risorsa importante, sottoutilizzata e
sottostimata.
Riqualificare
il paesaggio significa poi, è chiaro, pensare in modo
diverso all'abitato rurale, alle case coloniche, ai bagli,
alle masserie,
fino alle sperdute stazioni dell'Anas
e delle ferrovie. Ciascuna di queste costruzioni è
segno di un passato diverso e per tutte occorre creare
un contesto di sicurezza e di riqualificazione. Si
gioca su questo piano gran parte della possibilità di
un lancio dell'offerta agrituristica, della
fuoriuscita della campagna siciliana dalla sua
condizione marginale e appartata. La Sicilia
dell'interno ha un enorme potenziale inespresso e
largamente sottovalutato (con l'eccezione ovvia
dell'Etna), un vero tesoro nascosto, fatto di luoghi
certo meno significativi della Villa
del Casale di Piazza Armerina, ma non per
questo meno cruciali.
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