Un fenomeno complesso
Ci si potrebbe chiedere in che misura la
centralizzazione politico-istituzionale della vita
isolana, determinata dall’ avvento
della Regione, abbia agevolato
l'unificazione dei gruppi propriamente criminali.
Certamente c'è tra questi due fenomeni un rapporto. I
più celebri pentiti della mafia, tra cui Tommaso
Buscetta, hanno d'altronde rivelato che
proprio in questa fase fu costituita una
"commissione centrale" di Cosa Nostra dove
confluirono le cosche palermitane e il forte nucleo
corleonese di Luciano Liggio. In questo periodo la
fenomenologia mafiosa si estendeva anche all'altro
versante dell'isola,
tradizionalmente immune. Grazie agli stretti
rapporti coi palermitani, nel catanese si costruirono
le fortune del gruppo guidato da Benedetto
(Nitto) Santapaola.
L'indubbio ed essenziale fenomeno della
centralizzazione della mafia palermitana è stato al
centro delle inchieste giudiziarie degli anni
Settanta-Ottanta, condotte da un nucleo di abili e
coraggiosi magistrati, tra cui si segnalarono Antonio
Borsellino e Giovanni Falcone. Forse oggi, soprattutto
a livello giornalistico, c'è una tendenza eccessiva a
leggere secondo uno schema unitario, attraverso le
lenti della "cupola" (ovvero, della
commissione) palermitana, l'intera vicenda della mafia
siciliana, che invece ha centri importanti e anche
autonomi a Trapani, Caltanissetta,
Agrigento, Catania. La storia degli anni
Settanta-Ottanta è la storia di un'espansione
territoriale e di una riproduzione imitativa, della
generalizzazione del modello mafioso a varie
componenti della criminalità siciliana,
dell'influenza di essa su altre realtà regionali:
basti pensare alla "rinascita" della camorra
campana, al boom della 'ndrangheta
calabrese, al proliferare di gruppi di tipo
mafioso un po' in tutt' Italia, ben al di là delle
limitate aree geografiche tradizionali di influenza
delle cosche.
Questo però non rende uguali le realtà di criminalità
organizzata, né tanto meno ci autorizza ad
assimilarle alla già citata “piovra”.
Ci troviamo davanti a
un fenomeno complesso, a più facce, dove gli aspetti
clamorosi si sovrappongono a quelli sotterranei, più
o meno visibili. Accanto alle attività più moderne,
ai settori più redditizi, permangono altri, come il
contrabbando e persino l'abigeato, ovvero il controllo
della prostituzione e il racket; gli appalti
nell'edilizia sono stati altrettanto importanti, nella
fortuna della mafia, del traffico della droga. Mentre
i capitali fluiscono attraverso la banche estere e i
fondi d'investimento nell'oceano della finanza
internazionale, i mafiosi continuano a svolgere il
loro "semplice" lavoro sul campo delle
attività di protezione e di estorsione, della
mediazione monopolistica in attività illecite o anche
legali, con impegno ancor maggiore (e con risultati
assai più nefasti) di quanto facessero i loro
omologhi di quarant'anni fa. Le mafie hanno certo i
loro consulenti finanziari e i loro canali di
riciclaggio, ma il mafioso resta essenzialmente
l'affiliato di un'organizzazione basata su interni
canali di solidarietà e gregariato criminale,
compattata da antichi riti di appartenenza,
profondamente radicata sul territorio.
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