Glossario
Regione a
statuto speciale
Furono cinque le regioni
dichiarate dal 1948, in seguito all’entrata in vigore
della Costituzione repubblicana (art.116), a statuto
speciale: la Sicilia, la Sardegna, il Friuli Venezia
Giulia, il Trentino Alto Adige, la Valle d’Aosta. Furono
distinte dagli altri enti regionali perché a loro venne
riconosciuta una specificità culturale e di tradizione
che le distingueva dal resto del territorio nazionale. La
Costituzione italiana prevedeva sin dall’inizio la
suddivisione del territorio in 20 regioni (21 dopo
l’istituzione del Molise nel 1963), ma le regioni a
statuto ordinario sono state attuate solo nel 1975, mentre
fu data autonomia immediata solo alle cinque regioni a
statuto speciale.
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Assemblea
costituente
L’
Assemblea costituente fu eletta con suffragio universale
il 2 giugno 1946, contestualmente alla scelta referendaria
tra monarchia e repubblica. Si votarono liste di candidati
predisposte dai partiti, secondo un sistema elettorale
proporzionale: l’assemblea era dunque un’assemblea di
partiti come si addiceva a una nascente democrazia di
massa.
I
costituenti conclusero i loro lavori il 22 dicembre 1947,
dopo 170 sedute di discussione: il testo definitivo della
Costituzione repubblicana fu approvato con 453 voti
favorevoli e 22 contrari.
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Notabili
Erano coloro che, nell’Italia
liberale di fine Ottocento e inizio Novecento detenevano
il potere politico ed economico, contando sulla capacità
di tessere reti clientelari che assicuravano loro il
rinnovo del mandato parlamentare. Espressione in epoca
post risorgimentale soprattutto della grande proprietà
terriera, la tipologia dei politici professionali si era
rinnovata nella Sicilia di inizio Novecento, legandosi
anche ai settori dell’imprenditoria, delle
infrastrutture e del terziario urbano, ed esercitando un
ruolo di mediazione tra i diversi segmenti della borghesia
rurale e urbana.
Quando, dopo il fascismo, la Sicilia
si riaffacciò alla vita democratica, il notabilato,
egregiamente sopravvissuto alla dittatura, si riaffacciò
sulla scena politica. Così, alla fine del 1943, il
capitano americano W.E. Scotten, autore di importante
relazione sulla presenza mafiosa in Sicilia, descriveva la
ricomparsa dei notabili:
I politici professionali dell'era prefascista sono pochi,
anziani e cinici, ma hanno l'enorme vantaggio dell’
esperienza politica e a loro disposizione le intelaiature
delle antiche organizzazioni (machines).Sono
particolarmente attivi nella ricostruzione delle foro
clientele (fences) e
si mantengono indipendenti, tendono a formare partiti per
conto proprio o ad allinearsi con i gruppi piú piccoli,
come i liberali, il partito d'azione, o meglio ancora con
i separatisti. Sono
prudenti, non si pronunciano
e fanno una politica d'attesa per vedere da quale parte
spira il vento. Alcuni
flirtano con ciò che resta della vecchia mafia politica.
Una piccola parte di essi è perfino impegnata
nella Democrazia cristiana.
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Giovanni
Guarino Amella
Deputato demosociale di
Canicattì (Agrigento)
nel 1919, nel 1921 e nel 1924, massone, partecipò
alla secessione dell’Aventino e pertanto decadde
dall’incarico parlamentare nel 1926. Nel 1943 fu
nominato dagli alleati sindaco di Cannittì e fu tra i
promotori del Comitato per l’indipendenza della Sicilia,
abbandonando però subito il campo separatista per passare
a posizioni autonomistiche. Fece parte della Consulta
regionale e, insieme al socialista Mario Mineo, sostenne
il principio di una ampia autonomia degli enti locali
nell’ambito della regione. Si oppose alla struttura
centralistica, conseguente alla logica “riparazionista”,
sostenuta dal suo eterno rivale La Loggia.
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Comitato
per l’indipendenza della Sicilia
Il Comitato per l’indipendenza della Sicilia fu fondato il 28
luglio 1943. Tra i promotori, accanto a politici di
professione di provenienza abbastanza eterogenea,
comparivano alcuni grandi rappresentanti
dell’aristocrazia fondiaria.
In data 9
dicembre 1943, con un appello rivolto al governo militare,
il Comitato chiese che
fosse “risparmiata alla Sicilia la sciagura di
essere consegnata al cosiddetto governo Badoglio che
(avrebbe prodotto, n.d.r.)
una spontanea reazione popolare e gravi lutti al
nostro paese”. Seguivano le firme di un gruppo di ex
parlamentari, tra i quali Finoccharo Aprile e Guarino
Amella: una sorta di governo ombra, in rappresentanza di
quasi tutte le province siciliane.
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Arrivo degli alleati
Iniziato il
10 luglio 1943 con un dispiegamento enorme di uomini e
mezzi, lo sbarco in Sicilia segnò un punto di svolta
nella seconda guerra mondiale. Fu infatti la prima azione
militare degli Alleati (lo schieramento che faceva capo a
Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna) portata
direttamente sul territorio della coalizione nemica. In
Sicilia sbarcarono due intere armate ( la settima
statunitense e l’ottava britannica) che avanzarono
velocemente e senza trovare grandi opposizioni, tanto che
il 17 agosto successivo l’intera Sicilia era stata
conquistata quasi senza spargimento di sangue. Lo sbarco
in Sicilia provocò la ritirata dell’Italia dalla
coalizione filo-nazista: il 25 luglio 1943 il Gran
Consiglio (l’organo supremo di direzione del Partito
fascista) votò a maggioranza la destituzione di Mussolini
da capo del regime. Immediatamente dopo il re fece
arrestare l’ex-duce, e formò un nuovo governo
presieduto dal generale Badoglio, che firmò
l’armistizio con gli alleati, reso pubblico l’8
settembre 1943.
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Massoneria
Per
massoneria si intende un'organizzazione, o un insieme di
organizzazioni segrete diffusasi nel Settecento europeo
tra i membri delle classi superiori, che si consideravano
gli elementi illuminati
della loro società, legati da uno scopo di vaga
contestazione dell'assolutismo e del potere della Chiesa
cattolica, ispirati da principi laici e razionalisti. Un
complicato simbolismo valeva a distinguere gli iniziati
dai profani. All'inizio dell'Ottocento la massoneria
fungeva da punto di riferimento per il fiorire di sette
-associazioni clandestine e misteriose- che intendevano
contrapporsi sul piano politico alle monarchie restaurate
dopo la Rivoluzione francese. Si ritiene che la
Carboneria, insieme di gruppi clandestini liberali e
nazionalisti diffusi nel primo Ottocento in tutta Italia e
ancor più nel Mezzogiorno, rappresentasse l'emanazione
politica della massoneria. A partire dal 1848 prevalsero
raggruppamenti più basati sul consenso e sulla propaganda
palese, che possiamo assimilare ai moderni partiti politici, e le associazioni di tipo carbonaro
decaddero. Però la massoneria rimase in voga anche in
regimi liberal-democratici. Ancor oggi ad essa si ispirano
associazioni del tutto lecite, ma anche gruppi che per
mantenere un carattere occulto e misterioso sono stati
considerati nemici della democrazia, o almeno luoghi di
trame affaristiche illecite: è il caso, nell'Italia degli
anni scorsi, della cosiddetta loggia P2. Limitatamente a
questo discorso, si può ben dire che la mafia sia una
specie di massoneria della grande delinquenza.
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Plutocrazia
La
parola indica il predominio esercitato, nella vita
pubblica delle società industriali, da grandi gruppi
finanziari o da singoli ricchi e potenti individui, in
grado, grazie all’ampia disponibilità di capitali a
disposizione, di determinare gli indirizzi politici dei
rispettivi governi.
Il
fascismo si dichiarò antiplutocratico, usando, nella
propaganda politica, il termine in senso spregiativo
contro le grandi potenze democratiche industrialmente
avanzate, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti d’America,
la Francia.
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L’antisemitismo
di Finocchiaro Aprile
Dopo la definitiva affermazione del
fascismo, Finocchiaro Aprile non perse occasione per
richiamare l’attenzione di Mussolini, ricorrendo anche
alla delazione e alla denuncia contro funzionari ebrei
dopo l'entrata in vigore delle leggi razziali.
Cosí scriveva al duce il 15
novembre I939:
Per il caso
che il governo fascista, in attuazione delle provvide
norme sulla difesa della razza, credesse di dovere
dispensare dal servizio l'attuale direttore generale del
Banco di Sicilia Giuseppe Dell'Oro, mi permetto di
rinnovarvi la mia preghiera di assegnarmi il detto
ufficio. E’
noto al Ministero delle Finanze, ed io stesso ebbi ad
informarvene, che nei primi del I920 ebbi dal ministero
Luzzatti l'offerta di quell'ufficio, ch'io però credetti
di declinare per ragioni d’ incompatibilità
parlamentare. (…) Dal 1925,
dopo l'uccisione di Matteotti per la quale si inscenò
la vergognosa speculazione delle opposizioni contro il
fascismo, non ho tralasciato occasione di dichiararvi,
eccellenza, la mia illimitata devozione (…).
Nel
febbraio 1944 Finocchiaro Aprile, ormai leader
separatista, ritornò su questo argomento in occasione di
un pubblico discorso a Palermo:
Non posso non ricordare che il ministro Iung prepose per
molti anni al Banco di Sicilia un suo correligionario,
naturalmente milanese, che non ebbe, come non poteva
avere, alcuna sensibilità per i nostri problemi.
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Gabellotti
Gabellotto
era in Sicilia colui che pagava la gabella, cioè la tassa
di affitto per una proprietà, di solito di grande
estensione, dunque un “fondo”. Si trattava quindi
quasi della stessa figura dell’affittuario, se non che
il gabellotto, nella maggior parte dei casi, non coltiva
il fondo in prima persona, ma lo appaltava ad altri,
gravando il lavoratore finale di un costo di
intermediazione.
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Genco
Russo
Nato
nel 1893, fu tra i più importanti boss del dopoguerra e
gabellotto tra i più potenti. Durante il fascismo il
prefetto Mori lo inviò al confino, a motivo della sua
pericolosità sociale. Dopo lo sbarco degli Alleati in
Sicilia, fu eletto sindaco di Mussomeli, in provincia di
Agrigento. Fu poi il successore di Calogero Vizzini alla
guida di Cosa Nostra e guidò la delegazione dei siciliani
al summit mafioso che si tenne nel 1957 all’Hotel des
Palmes di Palermo. Dopo aver appoggiato il movimento
indipendentista, entrò nella Democrazia cristiana. La sua
carriera criminale fu caratterizzata da una serie
impressionante di assoluzioni per insufficienza di prove.
Morì 1972.
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Michele
Navarra
Primogenito
di otto figli di una famiglia del ceto medio, Michele
Navarra nacque a Corleone (Palermo) nel 1905: il padre
Giuseppe, piccolo proprietario terriero e membro del
“Circolo dei nobili” del paese, esercitava le
professioni di geometra e maestro della locale scuola
agraria. Terminate le scuole ordinarie, si iscrisse
all’Università di Palermo, prima alla facoltà di
ingegneria e poi a quella di medicina. Ottenuta nel 1929
la laurea in medicina e chirurgia, prestò servizio
militare a Trieste come medico ausiliario. Tornato a
Corleone seppe guadagnarsi come medico condotto
la benevolenza degli abitanti della zona. Prestigio
professionale, furbizia e apparente bonomia furono le doti
che lo innalzarono a capo indiscusso della locale famiglia
mafiosa, con il soprannome di “u patri nostro”.
Nel
1943 fu interlocutore credibile degli alleati e ne
approfittò per costituire, con il fratello, una società
di autolinee, funzionante grazie ai mezzi recuperati
nell’isola dal Governo alleato; nel 1947 la società fu
rilevata dalla Regione Sicilia e quindi assorbita
nell’Azienda Siciliana Trasporti.
In
politica Navarra appoggiò inizialmente le istanze
indipendentiste, poi fece confluire i voti controllati
dalla mafia locale prima sul Partito liberale poi sulla Dc.
Tra il 1946 e il 1948 divenne anche la massima autorità
sanitaria della sua zona, medico fiduciario dell’Inam e
primario dell’ospedale di Corleone, poltrona così
ambita da spingerlo a commissionare l’uccisione del
legittimo titolare. Negli stessi anni si impegnò per controllare le pretese dei contadini e assicurare
l’amministrazione dei feudi del corleonese ai suoi
uomini. Arrestato nell’ambito dell’inchiesta su due
efferati omicidi, quello del sindacalista Placido Rizzotto
e di Giuseppe Letizia, il tredicenne che del primo delitto
era stato testimone e che morì in seguito a
un’iniezione praticatagli dallo stesso Navarra, il
capomafia, grazie alle forti protezioni politiche, non fu
mai condannato e poté rientrare
a Corleone nel 1949, dopo pochi mesi di confino.
Raggiunse l’apice del successo favorendo l’elezione
dell’avvocato Alberto Gensardi, genero di Vanni Sacco,
potente capo mafia di Camporeale, alla guida del consorzio
agrario per la bonifica dell’alto e e medio Belice. Con
quella nomina la mafia ribadì la sua contrarietà alla
realizzazione di una diga sul fiume Belice, che avrebbe
significato la fine del suo controllo sull’erogazione
dell’acqua nell’agro palermitano, trapanese e
agrigentino.
Il
primato di Navarra durò fin quando non gli sbarrò la
strada Luciano
Liggio. Navarra, che lo aveva avuto tra i suoi picciotti,
ne intuì le terribili potenzialità e ne ordinò
l’uccisione. Liggio però scampò all’attentato e si
prese la rivincita: il 2 agosto 1958 Navarra fu trucidato
da Liggio e i suoi mentre rientrava in auto a Corleone con
un amico.
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Calogero
Vizzini
Nato
nel 1877, fin da giovane si mise in mostra come uno dei più
potenti gabellotti del palermitano. Venne inviato al
confino dalla polizia fascista nel 1925. Fu tra i mafiosi
che aiutarono le truppe alleate al momento dello sbarco in
Sicilia. Come ricompensa per i servigi resi, oltre la
nomina a colonnello onorario, diventò primo cittadino di
Villalba. Dopo essersi battuto in un primo momento per le
tesi del movimento separatista e aver appoggiato le
scorribande del bandito Giuliano, contribuì
successivamente alla sua cattura e uccisione. Aderì in
seguito alla Democrazia cristiana. Indiziato di 51
omicidi, morì nel 1954. Al suo funerale parteciparono
diecimila persone.
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Silvio
Milazzo
Silvio
Milazzo conquistò grande notorietà presso l’opinione
pubblica nazionale tra il 1958 e il 1960, quando fu
protagonista di uno dei più intensi e partecipati drammi
politici italiani: la secessione interna alla Dc che
portò al governo della Regione Sicilia i comunisti e le
destre, compresa
quella del Msi, insieme
a un gruppo di transfughi democristiani. A rendere
più lacerante la frattura contribuì la personalità di
Milazzo, caltagironese come Sturzo, e suo figlioccio,
dirigente di quella Cassa rurale e artigiana San Giacomo
(1896), che era all’origine del movimento cattolico
calatino.
Ma Milazzo rappresentava qualcosa di più che la
tradizione politica cattolica al suo più alto e nobile
livello: era figlio di Mario, un prestigioso esponente
della politica liberal democratica locale, sostenitore
della quotizzazione del bosco demaniale di Santo Pietro,
un’idea che poi sarebbe stata ripresa da Sturzo. Dunque
Milazzo assommava anime politiche diverse che gli
consentirono di muoversi con disinvoltura in contesti
diversi. Fu l’amministratore della Cassa San Giacomo
durante il fascismo, geloso custode dell’ eredità
politica e morale di Sturzo anche davanti agli attacchi
dei locali gerarchi; fu separatista nel dopoguerra insieme
a molti proprietari. Nella Dc rientrò nel 1944, su invito
dell’altro suo compaesano, grande esponente del
popolarismo cattolico, Mario Scelba. Legato alla
configurazione centrista e scelbiana della Dc, fu più
volte assessore dei governi regionali; in particolare da
assessore all’agricoltura promosse la riforma agraria
siciliana (1950). Infine, nel 1958, venne eletto alla
presidenza del governo regionale con un colpo di mano e in
polemica con il candidato fanfaniano che la Dc esprimeva
ufficialmente. La “secessione” di Milazzo ebbe dunque
origine dallo scontro interno alla Dc tra centristi (Scelba)
e fanfaniani, ma poi assunse caratteristiche più
profonde.
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Protezionismo
industriale
La
politica economica protezionista dei governi italiani ebbe
origine a partire dagli anni Settanta dell’Ottocento.
Attraverso l’imposizione di forti dazi doganali su
alcune merci di importazione si mirava a favorire la
competitività della nascente industria nazionale ed
eliminare al tempo stesso la concorrenza del meno costoso
grano estero. Il risvolto negativo fu, nel settore
industriale, una crescita protetta e perciò in qualche
modo distorta e, nel campo agricolo, la permanenza del
latifondo e di arretrati sistemi di gestione. Inoltre gli
stati stranieri, per ritorsione, imposero anch’essi
misure doganali sui beni provenienti dall’Italia, che
persero così tradizionali sbocchi di mercato; le
conseguenze furono particolarmente gravi per alcuni
prodotti pregiati dell’agricoltura siciliana (vino,
olio, agrumi), destinati per gran parte
all’esportazione.
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Ammassi
obbligatori
Gli
ammassi obbligatori di alcuni fondamentali generi
alimentari, in particolare il grano, furono istituiti
durante la II guerra mondiale. Consegnato all’ammasso,
il grano (e i suoi derivati come farina, pane e pasta)
veniva venduto razionato e a prezzi controllati (prezzi
politici). La mancata consegna del grano da parte dei
produttori e la vendita al mercato nero furono però
fenomeni assai praticati e la loro diffusione fu uno dei
segnali di perdita di consenso del regime fascista.
Dopo
l’arrivo degli Alleati gli ammassi obbligatori
continuarono a essere imposti in Sicilia, come anche
nell’Italia ancora occupata dai tedeschi, con grande
delusione della popolazione che si aspettava abbondanti
aiuti alimentari da parte degli americani. L’evasione
degli ammassi e il mercato nero diventarono grossi affari
nelle mani della mafia, mentre i partiti popolari
tentarono di far funzionare questa istituzione ponendola
sotto il controllo democratico.
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Latifondo
Proprietà terriera di grandi
dimensioni, destinata a una coltivazione estensiva. Il
latifondo era caratterizzato da vaste aree incolte (in
genere utilizzate per la pastorizia) e da aree di coltura
estensiva, ossia coltivate con scarsi investimenti di
capitale di lavoro. Tipica del latifondo era quindi la
coltura a cereali che non richiede né impianti di
irrigazione – o altre strutture costose - né manodopera
specializzata. Caratteristici erano gli insediamenti dei
lavoratori agricoli intorno al latifondo, organizzati in
pochi grandi nuclei, situati lontano dai luoghi di lavoro.
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Fasci
Siciliani
Con
il termine “fasci” si indicarono le organizzazioni
proletarie sorte negli anni 1892 – 1893 in alcune
località della Sicilia, dove la crisi economica aveva
determinato un fortissima tensione sociale. Queste
organizzazioni si diffusero rapidamente fino a determinare
un grande movimento di massa. Ne facevano parte contadini,
braccianti, mezzadri e, a seconda delle località,
minatori, artigiani, piccoli commercianti e piccoli
proprietari: un vasto movimento a cui parteciparono anche
molte donne e bambini.
Guidati
da uomini di orientamento socialista, come Nicola Barbato,
Rosario Garibaldi Bosco e Giuseppe De Felice, i Fasci
furono soprattutto un movimento spontaneo di protesta, che
affiancava la battaglia contro l’eccessivo fiscalismo e
la rivolta contro la tirannia dei “galantuomini” nelle
amministrazioni locali, alla richiesta di revisione dei
patti agrari e alla rivendicazione di terre da coltivare.
Affermatisi
anche grazie all’atteggiamento liberale di Giolitti, che
si limitò a garantire l’ordine senza impedire
l’organizzazione delle opposizioni, i Fasci Siciliani
furono duramente repressi (un centinaio furono le vittime)
da Crispi. Questi, tornato al governo nel dicembre 1893,
presentò il movimento come una vasta cospirazione tesa a
sovvertire lo Stato e nel 1894 fece eseguire circa 2000
arresti e condannare a dure pene detentive i dirigenti.
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Antonio
Canepa
Intellettuale proveniente da
un’ importante famiglia politica, Antonio Canepa
manifestò da giovane la sua opposizione alla dittatura
cercando di dar vita a una manifestazione antifascista a
San Marino. Finì in manicomio e da lì passò
direttamente alla cattedra universitaria come docente di
dottrina del fascismo e storia delle dottrine politiche
dell’Università di Catania. Fu autore, tra l’altro,
di uno studio sulla struttura del Partito Nazional
Fascista. Quali siano stati gli ingredienti di questo
abile nicodemismo è difficile da stabilire. Si dice
comunque che già dal 1942 avesse cominciato a compiere
operazioni di sabotaggio antitedesche presso l’aeroporto
militare di Gerbini di Catania, come agente del britannico
Intelligence Service. Alla stessa epoca risalirebbe
La Sicilia ai siciliani, la sua più nota opera
politica. Dopo
l’occupazione alleata della Sicilia si sarebbe spostato
al nord per organizzare la Resistenza. Ricomparve in
Sicilia alla fine del 1944, quando cominciò a organizzare
l’Evis, l’Esercito volontario per l’indipendenza
della Sicilia, posto sotto il controllo degli ultra
reazionari duchi di Carcaci. Ma pensava che in futuro,
“liberata” l’isola dall’Italia, il comando dell’Evis
gli avrebbe consentito di dare una svolta democratica al
separatismo. Furono i suoi allievi e compagni
sopravvissuti allo scontro nel quale Canepa trovò la
morte (a Randazzo, il 17 giugno 1945), a dare questa
lettura delle sue azioni.
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Indirect
rule
Modello di governo
indiretto, sperimentato dagli inglesi negli anni tra le due guerre
nelle zone tropicali dell'Impero britannico. Consisteva
nell'affidare ai capi nativi le responsabilità
amministrative su scala locale evitando di immettere
elementi di modernità, estranei alla società tribale.
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Il
conte Ruggero e la “parentela normanna”
Ruggero I, nato in Normandia
nel 1031, ultimogenito di Tancredi d’Altavilla, affiancò
il fratello Roberto il Guiscardo nella conquista della
Sicilia mussulmana (1061 – 1091) e ne divenne conte.
Morto il fratello nel 1085, accrebbe e rese pienamente
autonomo il proprio potere nell’isola, fino alla morte
avvenuta nel 1101.
Rivendicando
discendenti che avevano combattuto al suo fianco,
l’aristocrazia siciliana si richiamava a un mito di
fondazione che forniva un precedente “storico”, tendente
a giustificare la collaborazione della nobiltà
dell’isola alla causa alleata.
Non
mancarono occasioni per cercare di diffondere
pubblicamente questo mito della “parentela normanna”.
Significativo l’episodio, di pochi giorni successivo
all’occupazione di Catania del 6 agosto, della
riconferma nella carica di podestà del marchese Antonino
di San Giuliano, nipote dell'omonimo ministro degli
Esteri. Secondo
la colorita cronaca degli avvenimenti lasciataci dal duca
di Carcaci, il nobile amministratore venne riconosciuto e
salutato dagli ufficiali britannici, suoi pari, “ex
antiquissima stirpe nortmannica oriundus”.
Con
la “parentela normanna” si intendeva sottolineare
l'estraneità dell'aristocrazia siciliana alla comunità
nazionale italiana, fornendole anche le ragioni storiche
per la propria adesione al separatismo. “Non credo che
fossimo spinti da un cieco amor di patria”, scriveva
Carcaci:
Forse [... ] ci spingeva un sentimento ancestrale del
dovere, il ricordo di quel tacito patto stabilito tra i
nostri avi normanni e i siciliani che venivano a liberare
dal giogo dell’Islam. Un patto di reciproco cristiano
servizio: i primi servivano col senno, con le giuste
leggi, con la spada, i secondi con l'obbedienza e col
lavoro. Un patto rimasto valido attraverso nove secoli di
aspre vicende. Forse
lo consideravamo ancora valido.
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alla lezione
La mafia, (lezione di Salvatore Lupo)
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Alto
Commissariato per la Sicilia
La tradizione politica
siciliana stabilisce l’antecedente di questo organismo
nel Commissariato civile voluto dal governo presieduto dal
marchese di Rudinì nel 1896. Si trattava in ambedue i
casi di organismi di collegamento tra gli enti locali e lo
Stato, atti a fronteggiare una crisi. La somiglianza
finisce qui: il Commissariato civile del 1896 non ebbe
alcuna velleità autonomistica, mentre l’Alto
Commissariato, nato per ristabilire i collegamenti,
assunse questa valenza nuova nel corso di una crisi di
credibilità dello Stato e di forte trasformazione della
sua classe dirigente culminata nella elezione della
Costituente e nella vittoria dell’ opzione repubblicana.
Primo alto commissario fu
Francesco Musotto, un uomo della democrazia prefascista,
con forti tendenze separatiste. Gli successe Salvatore
Aldisio, che impresse all’Alto Commissariato la sua
valenza autonomistica, affiancandogli una Consulta
regionale (a somiglianza di quella nazionale) con il
compito di preparare lo Statuto del nuovo ente Regione. Ad
Aldisio successe il repubblicano Giovanni Selvaggi, che
gestì con spirito democratico l’ultima fase di
transizione verso il funzionamento del nuovo ente.
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Pietro
Badoglio e il centralismo
Il generale Pietro Badoglio diventò
capo del governo il 25 luglio 1943, dopo la caduta di
Mussolini. Fu interprete della continuità monarchica e
guidò un governo di tecnici fino all’ aprile 1944,
quando riuscì a coinvolgere in una nuova formazione di
governo, grazie anche
all’appoggio del leader comunista Palmiro Togliatti, i
partiti del Cln.
Fedele
a una concezione centralista dello Stato, così Badoglio,
in una lettera del 20 dicembre 1943 al generale Joyce,
presidente della Commissione alleata di controllo, si
esprimeva sull’istituzione in Sicilia dell’Alto
Commissariato:
Sento
il dovere di farle presente che l'istituzione,del
Commissario regionale non corrisponde all'ordinamento
politico amministrativo italiano […]. Al Commissario
civile regionale si fece recentemente (marzo 1943) ed
eccezionalmente ricorso per la Sardegna e la Sicilia, solo
in relazione ad esigenze di carattere militare […]. Né
si può dal governo italiano ravvisare l'opportunità di
creare organismi regionali intermedi tra quelli centrali e
quelli periferici, essendo evidente, invece, che da ciò
può derivare pregiudizio all’ unità amministrativa e
politica della nazione […].
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Enrico
La Loggia
Avvocato di Agrigento,
percorse una lunghissima carriera politica, cominciata con
i Fasci siciliani e conclusasi negli anni Cinquanta.
Impegnata in politica è anche la sua discendenza
familiare: il figlio Giuseppe approdato dal mondo laico
alla Dc, e il nipote Enrico, passato dalla Dc a Forza
Italia e attualmente uno dei suoi esponenti più in vista.
Il vecchio Enrico fu uno dei
più importanti dirigenti di cooperative in età
giolittiana, inventore di una originale linea tecnocratica
sostenuta dal Banco di Sicilia. Nel primo dopoguerra,
sempre da posizioni socialriformiste, fu deputato e
sottosegretario nei governi Facta. Nel 1943 fu il più
importante oppositore del separatismo, elaborando una
visione dell’autonomismo non conflittuale con le
strutture del vecchio stato monarchico.
Ricostruire, un suo libello pubblicato alla fine del ’43, è
considerato il
manifesto dell'autonomismo del dopoguerra. In esso La
Loggia rifiutava soluzioni di decentramento
politico-amministrativo, più convenienti “alle regioni
ricche, le quali non hanno rivendicazioni da far valere,
anziché alle regioni povere che verso lo Stato vantano un
credito che vorremmo chiamare storico unitario”. L’
accento posto sul problema amministrativo gli appariva
fuorviante:
Non può
non intuirsi il regionale bisogno, più che di una
irrilevante riforma amministrativa (uffici più dislocati,
enti meno controllati, un commissario regionale, etc.) di
un indispensabile e vigoroso impulso ad un industrialismo
isolano, e si rafforza l'idea programmatica di un
decentramento industriale meglio che di un qualsiasi
decentramento burocratico o autarchico.
La distanza
concettuale dalle rivendicazioni separatiste era notevole:
a una logica liberista, basata sul presupposto che il
naturale sviluppo delle risorse esistenti, non
condizionato da un'eccessiva tassazione e da una cattiva
amministrazione, avrebbe garantito la fuoruscita
dall'arretratezza, La Loggia contrapponeva le più moderne
tematiche nittiane dell'intervento statale in economia.
L'indipendenza o un'accentuata autonomia avrebbero
avuto il significato di un'autogestione delle scarse
risorse isolane perpetuando uno stato di inferiorità
economica dal quale l'isola da sola non si sarebbe potuta
liberare. L'attivo della bilancia commerciale, sul quale i
separatisti fondavano le loro argomentazioni in favore
dell'indipendenza, era infatti da considerarsi segno di
povertà, di bassi consumi e di mancanza di investimenti
nei settori produttivi più moderni, e non di ricchezza;
segno esso stesso di debolezza politica, oltre che
economica, di un’ eventuale repubblica siciliana
indipendente, per la forte esposizione dei beni
d'esportazione (zolfo, agrumi, vino) alle ricorrenti crisi
del mercato internazionale.
Più
consono agli interessi della Sicilia sarebbe stato invece,
secondo La Loggia, un decentramento industriale, e cioè
una politica di allocazione di risorse finanziarie e
tecniche nell'isola, ma soprattutto un vasto programma di
opere pubbliche da eseguirsi a cura dello Stato a titolo
di riparazione per i torti subiti dalla Sicilia nel
periodo unitario.
Il
“laloggismo” ha avuto un ruolo non trascurabile anche
nell’ identificazione di una certa immagine della
Sicilia, accentuando i caratteri di arretratezza
dell’isola, descritta come la più povera delle regioni
meridionali, al fine di costituire un più forte potere
contrattuale nei confronti dello Stato.
Ai miti liberisti di una Sicilia ubertosa e ricca e
desiderosa di far da sé, agitati dai separatisti, si
sostituiva quello di derivazione nazional-laburista della
“regione proletaria”, in grado solo di offrire
forza-lavoro a buon mercato per attuare la rottura epocale
dell'industrializzazione.
Ben
presto La Loggia si sarebbe convertito al decentramento
politico amministrativo, soluzione ritenuta necessaria
alla mobilitazione di consensi per realizzare il
decentramento industriale e rafforzare il potere
contrattuale della classe politica regionale nei confronti
dello Stato. E’ significativo che tale conversione non
si sia spinta però fino ad auspicare un generale
ordinamento regionale dello Stato, poichè le autonomie
avrebbero dovuto rimanere, nella sua visione, strumenti di
perequazione a disposizione delle regioni meno sviluppate.
Dopo la
nascita della Regione a statuto speciale La Loggia rimase
in una posizione importante, di padre nobile, non
riuscendo però a creare attorno a sé un movimento
politico, né a ottenere un mandato parlamentare.
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Il
riparazionismo
Era
la teoria, sostenuta in primo luogo da La Loggia, secondo
la quale la Sicilia, come regione povera, avrebbe vantato
un credito nei confronti dello stato italiano. Nella
sostanza essa venne recepita nell'art. 38 dello Statuto
regionale, che prevedeva la costituzione di un “Fondo di
solidarietà nazionale” mediante il quale lo Stato
sarebbe dovuto venire incontro alle esigenze di una
regione già danneggiata da ottant'anni di vicenda
unitaria. Ci
si potrebbe chiedere per quale ragione la Sicilia avesse
diritto a una tale riparazione, a preferenza per esempio
della Calabria o della Basilicata.
In realtà, più che alla pretesa inferiorità
assoluta accreditata dallo stesso La Loggia, le
facilitazioni sancite dall'art. 38 erano funzionali agli
interessi di una classe politica siciliana tutta tesa a
confermare il proprio ruolo di mediazione e di controllo
delle risorse che dal centro fluivano verso la periferia.
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Combattentismo
Come
in tutta Europa, alla fine della prima guerra mondiale,
anche in Sicilia si
svilupparono movimenti di ex combattenti, fondati sul
prolungamento del legame gerarchico che aveva unito nelle
trincee ufficiali e soldati. Nell’isola il
combattentismo sembrò far emergere una nuova élite,
legata alla promessa di distribuzione delle terre. Nel
1919, qui come in altre regioni meridionali, il movimento
dei combattenti svolse
infatti, in collegamento con movimenti e partiti
democratici, un ruolo di primo piano nella mobilitazione
delle masse per l’occupazione delle terre e di pressione
politica per la riforma fondiaria.
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Salvatore Aldisio
Avvocato e possidente di Gela,
deputato del Partito popolare nel 1921, fu uno dei
maggiori organizzatori del movimento sturziano in Sicilia.
Nel secondo dopoguerra fu lo stesso Sturzo a indicarlo
come il personaggio a cui fare riferimento. Tuttavia si
conquistò a fatica la posizione dominante in un movimento
politico cattolico che in provincia di Caltanissetta, come
altrove in Sicilia, aveva malamente fatto i conti con la
politica popolare e ne diffidava. Ministro dell’Interno
nel secondo gabinetto Badoglio, riorganizzò le prefetture
e le amministrazioni locali secondo un criterio originale
che prevedeva il ritorno del prefetto di carriera al posto
dei notabili nominati dagli Alleati, ma contemporaneamente
recepiva le istanze nuove della Resistenza e offriva alle
amministrazioni comunali e provinciali il modello di
collaborazione partitica del Cln.
Da ministro passò a ricoprire la
carica di Alto Commissario per la Sicilia, con il
difficile compito di fronteggiare il separatismo mentre
imperversavano i moti del “Non si parte!” e le rivolte
contro la consegna del grano agli ammassi. Fu abile nel
dosare la repressione con la capacità di conquista dei
ceti possidenti, impauriti dal clima di radicale riforma
che spirava nel dopoguerra: gli emendamenti ai decreti
Gullo furono l’operazione più importante compiuta in
questo senso. Nel dopoguerra fu ministro della Marina
mercantile.
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Esercito
volontario per l’indipendenza della Sicilia
L’
Evis,
l’Esercito volontario per l’indipendenza della
Sicilia, fu fondato nell’aprile 1945 dall’esponente
dell’ala democratica dell’indipendentismo Antonio
Canepa Era composto da una cinquantina di giovani, in gran
parte studenti. Due sono le ipotesi rispetto al ruolo di
questa organizzazione militare: da un lato la creazione di
una situazione di tensione e difficoltà per il governo
italiano, dall’altro una soluzione per dirottare giovani
repubblicani in vista di una svolta monarchica.
Il 17 giugno 1945 l’intera
formazione fu distrutta dai carabinieri a Randazzo, in uno
scontro a fuoco in cui trovò la morte lo stesso Canepa.
L’ Evis risorse alcuni mesi più tardi sotto la
direzione di Concetto Gallo, ma soprattutto per volontà
dei separatisti catanesi, guidati dalla destra agraria dei
Carcaci, decisi a non rinunciare a questo strumento di
pressione. Nell’Evis, su decisione dei rappresentanti
della destra separatista palermitana, fu coinvolto anche
Salvatore Giuliano, che già disponeva già di una banda
agguerrita, in grado di metter in atto azioni
terroristiche rivolte inizialmente contro i carabinieri e
l’esercito, poi contro i partiti di sinistra, le Camere
del lavoro, gli inermi contadini.
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Movimento
contadino
Alla
fine della guerra ripresero con grande forza, soprattutto
nel sud, le agitazioni contadine, con un movimento analogo
a quello che si era manifestato dopo la prima guerra
mondiale. Come in precedenza, il sistema di lotta più
usato fu l’occupazione di terre incolte e la loro
coltivazione, con la successiva rivendicazione dei frutti
del lavoro e della terra stessa.
Lo
stato italiano rispose al movimento con interventi
repressivi anche molto duri, che provocarono morti e
feriti: Contemporaneamente anche la Dc, saldamente
insediatasi dal 1948 alla guida del governo, si rese conto
che la questione agraria doveva necessariamente essere
affrontata cominciando a intervenire sull’arretratezza
spaventosa dei rapporti agrari in certe zone del paese.
Nel 1950 fu quindi varata una parziale riforma agraria,
con la “legge Sila” e la “legge stralcio”.
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Una
donna di Ragusa
A
Ragusa la rivolta del movimento detto “non si parte!”
scoppiò il 5 gennaio 1945. Prese il nome dalla protesta
delle donne della città contro la chiamata degli uomini a
combattere nell’esercito del “regno del Sud”. L’
agitazione si estese poi a tutta la provincia, in parte
guidata da esponenti di vecchi gruppi anarchici, in parte
collegata con le istanze del separatismo, ovunque
stroncata dalla repressione dell’esercito.
Il
protagonismo delle donne, mobilitate a causa della durezza
delle condizioni di guerra, costrette a uscire dai loro
tradizionali ruoli per sopperire alla mancanza di uomini
mandati al fronte, è ben espresso dalla figura di Maria
Occhipinti, una giovane popolana che diventò protagonista
del movimento e poi avrebbe narrato le sue vicissitudini
nel libro Una donna di Ragusa (Milano, 1976).
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Decreti
Gullo
Il
19 ottobre 1944 il governo di unità nazionale
presieduto da Ivanoe Bonomi,
su proposta del ministro comunista Fausto Gullo, emanò
nuove norme per la definizione delle quote di riparto dei
contratti di mezzadria
e la concessione a gruppi di contadini associati in coperativa di terre
incolte o mal coltivate o sequestrate ai fascisti. Su
questo secondo punto il decreto riprendeva i temi
del celebre decreto Visocchi del primo dopoguerra.
Maggiori novità erano introdotte sul riparto del prodotto
mezzadrile, dove si faceva tesoro della sia pur limitata
regolamentazione sindacale del periodo fascista.
Il decreto che disciplinava i contratti di colonìa
parziaria stabiliva un riparto che oscillava tra 1/5 (per
il concedente) e 4/5 (per il colono), e la metà, a
seconda del grado effettivo di partecipazione del
proprietario alla vita dell'azienda.
Si trattava di un notevole progresso per i rapporti
contrattuali in uso in Sicilia, che pure non mancò di
suscitare polemiche all'interno stesso del movimento
democratico e resistenze da parte dei proprietari.
Da sinistra
se ne criticava la limitata portata rispetto agli
obiettivi di rottura del sistema latifondistico, ma se ne
sottolineava anche l'utilità per unificare il disgregato
universo contadino: i decreti erano visti come una sorta
di grimaldello per forzare le solidarietà interclassiste
e per costruire una forza politica e sindacale nelle
campagne siciliane. La
necessità della loro difesa, anche a costo di
compromessi, fece accettare in un primo momento al Pci gli
emendamenti apportati dall'alto commissario Aldisio (23
giugno 1945).
Gli
emendamenti approvati per la Sicilia consistevano in realtà
di un ridimensionamento delle quote spettanti ai
contadini. Nelle terre granarie, la cui resa era inferiore
ai sette quintali per ettaro il riparto era piú
favorevole ai coloni (60 per cento) che ai concedenti (40
per cento), mentre per rese superiori diveniva
progressivamente più favorevole ai proprietari.
Veniva introdotta una valutazione estranea ai
decreti, che teneva conto delle rese bassissime degli anni
di guerra, al di sotto dei 7 quintali per ettaro, mentre
in realtà le rese normali (anni 1932-36) erano di 10,6
quintali per ettaro e perfino negli anni 1911 -1916
avevano toccato gli 8 quintali.
Si accoglieva in sostanza una classica
rivendicazione degli agrari che giocavano sulla differenza
di rendimento tra le terre granarie dell'isola.
Visto in prospettiva, l'emendamento
Aldisio fece chiarezza circa la scelta di campo che la Dc
intendeva operare, qualificandosi come partito moderato e
offrendo ai proprietari la rappresentanza politica che
fino a quel momento questi avevano cercato nel movimento
indipendentista. Eloquente prova di questa difficile
ricerca di una rappresentanza degli interessi proprietari
fu la reazione dei latifondisti ai decreti Gullo fin dal
1945, quando diventarono realmente operanti in Sicilia. Più
che in una contrapposizione frontale, essa si manifestò
in una conflittualità diffusa, gestita dalla delinquenza
mafiosa, dal terrorismo delle bande e, di converso, dalla
puntigliosa rivendicazione, situazione per situazione,
della validità dei sistemi di coltura dei singoli
latifondi.
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Vento
del nord
Con il termine “vento del
nord” ci si riferiva alle profonde istanze di
cambiamento e agli ideali che avevano
caratterizzato nelle regioni dell’Italia settentrionale
la guerra di liberazione dal nazifascismo, in
contrapposizione all’estraneità a quell’esperienza
dell’Italia meridionale e all’inerzia conservatrice
delle sue classi dirigenti.
Il rifiuto di quelle spinte
innovatrici e rivoluzionarie accomunò in Sicilia lo
schieramento conservatore, come testimoniano queste parole
di Mario Scelba:
Il Vento
del Nord batte sulla Sicilia da ottant'anni e i risultati
sono dati dalla guerra distruttrice in corso. Diffidente
di ogni innovazione, estranea allo spirito indipendente
del suo popolo, la Sicilia non si era lasciata
suggestionare dai miti socialisti dell'ultimo dopoguerra,
fu l'ultima a cedere al fascismo.
Che cosa riserba per l'avvenire il Vento del Nord
alla Sicilia?
Tra i
politici nazionali Scelba fu quello che scese in campo con
maggior risolutezza per ricondurre nell’alveo della Dc
le frange moderate e piccolo borghesi del separatismo. Il
tentativo di svuotare il separatismo fu perseguito, come
dimostra la citazione, acquisendone lo stesso linguaggio.
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Bernardo
Mattarella
E’ uno dei più discussi
personaggi politici siciliani, ma nel contempo tra i meno
studiati. Nel mito viene indicato come uno dei grandi
burattinai nella vicenda banditesca e mafiosa di Giuliano,
insieme all’altro grande esponente del centrismo, Mario
Scelba. Ma di questo sappiamo poco; in realtà Mattarella
fu uno dei costruttori della Dc nel trapanese e in molta
parte della Sicilia Occidentale nel secondo dopoguerra,
legato anch’egli alla base popolare che nel prefascismo
aveva espresso casse rurali e cooperative. La sua
posizione fu subito di spicco e subito collegata a
incarichi nel governo nazionale di cui fu molte volte
ministro.
A richiamare alla memoria la sua figura tuttavia non è
l’attività politica così intensamente svolta, ma il
destino di uno dei suoi figli, Piersanti, presidente della
Regione Sicilia, assassinato nel 1980. Si sono spesso
messe in contrasto le due figure, quella del padre,
sensibile alle seduzioni del potere mafioso, e quella del
figlio, integerrimo fino al sacrificio estremo. Oltre che
per amore della verità, forse è per pietà filiale e
fraterna che l’altro figlio, Sergio, anch’egli
importante esponente della politica italiana, ha tentato
di smussare questo contrasto difendendo la memoria del
padre in più occasioni e sottolineando il di lui impegno
nell’arginare l’influenza mafiosa nella Dc. Tutto ciò
non ha ancora portato a un vero approfondimento da parte
degli storici.
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Leggi
di riforma agraria
Nel
1950 il governo De Gasperi decise di varare una parziale
riforma agraria, che venisse almeno in parte incontro alle
richieste di un movimento contadino molto forte
soprattutto nel Mezzogiorno. Furono emanate, prima per la
Calabria (la“legge Sila” del 12 maggio), quindi per
tutto il paese (la “legge stralcio” del 21 ottobre)
provvedimenti che avrebbero comportato complessivamente
l’esproprio, dietro indennizzo, circa 700.000 ettari, da
assegnarsi ai contadini senza o con poca terra.
Contemporaneamente, per il timore di esservi costretti in
seguito, molti latifondisti cominciarono a vendere le loro
terre.
La Sicilia emanò una sua propria legge (detta “legge
Milazzo” dal nome del proponente), con la quale si
decise l’esproprio delle proprietà eccedenti i duecento
ettari e la distribuzione in quote ai contadini. Nella
sostanza la legge regionale rispose agli stessi criteri
della legge nazionale: colpire soltanto le proprietà
improduttive e mal coltivate e consentire di utilizzare
gli indennizzi ricevuti con l’esproprio per investimenti
in opere di ammodernamento delle aziende. In base
all’applicazione della “legge Milazzo”, al 31
dicembre del 1962 in Sicilia erano stati espropriati e
assegnati circa 93.000 ha; inoltre erano state costruite
strade di bonifica per 191 km, acquedotti per 63 km,
elettrodotti per 55 km, 19 borgate rurali e 9 edifici per
servizi civili.
Principali
difetti della riforma furono una gestione clientelare
nell’ assegnazione dei lotti di terreno e, più ancora,
le dimensioni troppo piccole di questi ultimi, tali da
rendere impossibile una vera autonomia economica ai nuovi
proprietari.
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Emigrazione
Tra
il 1951 e il 1961 emigrarono dalle regioni dell’Italia
meridionale due milioni di persone e altrettanti se ne
aggiunsero nel decennio successivo: tra il 1950 e il 1970
il Mezzogiorno perse per saldo migratorio quattro milioni
di persone. Una parte sempre più consistente di questa
emigrazione si diresse verso le aree più industrializzate
del nostro paese. Torino e Milano videro, tra il 1950 e il
1970, aumentare la loro popolazione rispettivamente del
42,6% e del 24%.
La
Sicilia contribuì nello stesso periodo all’emigrazione
con circa un milione di persone su una popolazione che
complessivamente ammontava a 4.680.715 abitanti nel 1961 e
a 4.906.878
abitanti nel 1971.
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Governo
Milazzo
Il
23 ottobre 1958 Silvio Milazzo, esponente della corrente
democristiana di Mario Scelba, fu eletto, con soli cinque
voti di maggioranza sul candidato ufficiale della Dc,
presidente della giunta regionale della Sicilia. A
sostenerlo un’inedita coalizione, composta da dissidenti
Dc, Pci, Psi, Psdi e monarchici popolari.
Espulso
dal suo partito, Milazzo formò una giunta composta da
dissidenti democristiani, monarchici, missini e
indipendenti di sinistra, con l’appoggio esterno delle
sinistre. La nascita di quel governo regionale così
anomalo costituiva un esplicito tentativo di mettere in
difficoltà Amintore Fanfani, all’epoca segretario
nazionale della Dc e presidente del Consiglio.
Nelle
elezioni regionali del 1959 Milazzo si presentò con una
sua lista, l’Unione siciliana cristiano sociale, che
riportò il 10,6% dei voti. L’esperienza di governo si
chiuse definitivamente il 16 gennaio 1960: la giunta
Milazzo fu sostituita da una maggioranza composta da Dc,
Pli, Msi e monarchici.
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Salvatore
Giuliano
Originario
di Montelepre (Palermo), figlio di immigrati rientrati
dagli Usa, bracciante e dedito al piccolo commercio
clandestino del grano negli anni della guerra, Salvatore
Giuliano si diede alla macchia nel settembre 1943, dopo
aver ucciso, in un conflitto a fuoco, un carabiniere.
Divenne capo di una banda che operò nelle province di
Palermo, Trapani, Caltanissetta, sfuggendo anche a
grandiose cacce all’uomo, come quando, il 24 dicembre
1943, ottocento carabinieri circondarono invano Montelepre
nel tentativo di catturarlo.
In
rapporti con la mafia, si collegò nel 1944 agli elementi
della destra del movimento separatista palermitano e tra
la fine del 1945 e i primi mesi dell’anno successivo fu
comandante dell’Evis per la Sicilia occidentale e
protagonista di azioni terrostiche contro i carabinieri e
l’esercito. Nel dopoguerra fu autore di sequestri di
persona di ricchi proprietari e commercianti, ma
soprattutto diresse le sue azioni contro i partiti di
sinistra, le Camere del lavoro, gli inermi contadini
impegnati nella lotta per la terra. Fra le sue imprese la
strage di braccianti a Portella delle Ginestre, il 1
maggio 1947, che provocò 11 morti e una trentina di
feriti.
Dopo
aver a lungo tenuto in scacco le forze dell’ordine,
venne ucciso nel 1950 a Castelvetrano, in seguito al
tradimento del cugino Gaspare Pisciotta.
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Statuto
della Regione Sicilia
Il
principio dell’autonomia regionale siciliana entrò
nella fase di preparazione giuridica nel settembre 1945.
Il progetto venne affidato a una Commissione paritaria
nominata dall’Alto Commissariato per la Sicilia e
composta da rappresentanti di tutti i partiti. La bozza di
statuto elaborata dalla Commissione fu sostanzialmente
accolta dalla Consulta regionale siciliana: venne ribadita
la competenza esclusiva alla regione di alcuni tributi
riscossi nell’isola; la durata della legislazione fu
definita in quattro anni. Si prevedeva inoltre con
l’art. 38 la costituzione di un fondo di solidarietà
nazionale in cui lo stato avrebbe versato finanziamenti da
utilizzare per lavori pubblici.
L’aspetto
rivoluzionario del progetto approvato dalla Consulta era
quello di concepire la Sicilia quale entità politica
primaria, dotata di competenze proprie pur rimanendo
all’interno dei confini dello Stato unitario. Lo
Statuto, promulgato con il decreto legislativo
luogotenenziale del 15 maggio 1946, fu poi esteso anche
alla Sardegna.
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Elezioni
dell’Assemblea regionale siciliana
Nelle
prime elezioni dell’Assemblea regionale siciliana,
svoltesi il 20 maggio 1947, il cosiddetto Blocco del
popolo, costituito da Pci, Psi e Partito d’azione, si
affermò come primo partito, ottenendo il 30,4% dei voti.
La Dc, con il 20,5% accusò, rispetto alle elezioni per la
Costituente del 1946, una perdita di oltre il 13%. Il Mis
riportò solo l’ 8,8% dei suffragi, preceduto
nell’area dei raggruppamenti di destra, dal Partito
nazionale monarchico (9,5%) e dal Blocco democratico
(14,8%).
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Mario
Mineo
Mario Mineo aveva
appena vent’anni nel 1943 e tuttavia svolse in
quel periodo un ruolo importante. Militante socialista,
non trovò spazio nel suo partito troppo dogmaticamente
legato a una visione centralistica dello Stato. Mineo
invece riteneva urgente una politica autonomistica e per
questo si avvicinò al Partito comunista, più aperto a
queste istanze. Rimase tuttavia un eretico, nel corso di
tutta la sua vita politica.
La sua lettura del separatismo
era la più radicale nell’indicare la matrice
reazionaria di questo fenomeno, ma più accorta era
l’analisi di Mineo circa l’uso che le forze moderate
unitarie si apprestavano a fare del separatismo,
agitandone il pericolo e la vocazione eversiva in modo da
aumentare la propria forza contrattuale nell’ambito
politico nazionale. Ciò che puntualmente avvenne sotto la
guida di La Loggia e di Aldisio.
Mineo tentò di collegare le
istanze autonomistiche ad un progetto di profonda riforma
sociale; la sua concezione dello Statuto, radicalmente
diversa da quella che venne accolta, si basava su enti
locali dotati di ampia autonomia, utili alla liberazione
di quelle energie popolari capaci di mettere in moto un
processo democratico per la Sicilia e per il resto del
paese.
Gli Scritti politici di
Mineo sono stati pubblicati dall’editore Flaccovio di
Palermo, a cura della famiglia e degli amici.
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