Le
rivolte del “non si parte!”
Dopo aver lavorato alla restaurazione dello Stato
come ministro, Aldisio provocò le dimissioni di Musotto e
gli subentrò il 17 luglio '44.
Con questa operazione i partiti nazionali
assumevano un ruolo centrale, relegando il separatismo ai
margini della lotta politica.
La Dc in particolare si preparava a recepirne le
istanze conservatrici, in presenza di un movimento
contadino egemonizzato
dalle sinistre.
Il nuovo Alto
Commissario ereditava una situazione di acute tensioni
sociali dovuta alla opposizione generalizzata agli ammassi
granari. Nell'ottobre '44 le gravi condizioni alimentari
di Palermo erano state all'origine della protesta popolare
sfociata in un eccidio da parte dell'esercito; tra il
novembre e il gennaio alla protesta contro l'ammasso si
aggiunse il rifiuto di aderire alla chiamata alle armi dei
contingenti mobilitati per la guerra contro i tedeschi.
In circa 24 centri isolani si verificarono rivolte,
con la “liberazione” di interi paesi (Comiso, Ragusa,
Piana degli Albanesi).
Si trattava in realtà di una manifestazione di
stanchezza nei confronti della guerra, in Sicilia
considerata finita con l'occupazione alleata. La rivolta
esprimeva anche un forte senso di sfiducia nell'esercito
che appariva come l'istituzione che, insieme alla
monarchia, meglio incarnava la continuità con il vecchio
Stato; infine, tra le cause del “non si parte!” va
segnalato il tema più specificamente politico di scarso
apprezzamento nei confronti del compromesso istituzionale
al quale i partiti del Cln avevano aderito, stabilendo,
anche su iniziativa del leader comunista Togliatti, di
mettere in secondo piano l’avversione per la monarchia
finchè la guerra contro i nazifascismi fosse ancora in
corso. Si era trattato così di recuperare l’unità del
popolo italiano di fronte al pericolo sommo della
distruzione, rappresentato dalle pratiche di deportazione
in massa e riduzione in schiavitù attuate dai nazisti e
dalla Repubblica sociale italiana a loro asservita.
Tuttavia il compromesso con la monarchia aveva rimesso in
auge, almeno al sud, la vecchia burocrazia militare e il
processo di democratizzazione rischiava di subire un
sostanziale rallentamento.
Laddove il movimento
del “non si parte!” attinse a una maggiore
consapevolezza (Messina, Palermo), pur tra le innegabili
infiltrazioni separatiste e fasciste, vi fu il costante
tentativo di avviare un confronto sui temi della
democrazia con i dirigenti del Cln, mettendo in
discussione la scelta della tregua istituzionale, che al
sud, in assenza di un movimento resistenziale, faceva
apparire moderata la linea dei partiti antifascisti. La
risposta del Cln fu di estrema chiusura, per la paventata
eventualità che i separatisti potessero mettersi alla
testa dello scomposto movimento; lo stesso Aldisio
accreditò, con non poca esagerazione, questa ipotesi, e
la utlilizzò per compattare i partiti, ottenendo un
maggiore appoggio governativo nei confronti delle istanze
regionalistiche. L'Alto
Commissariato, con la Consulta che attorno ad esso si
riuniva, divennero i centri di elaborazione delle proposte
autonomistiche e in particolare del futuro statuto
regionale.
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