Il
riparazionismo
Lo Statuto siciliano esprime, in una forma talora
molto spinta, le opzioni di principio del regionalismo
isolano; non può pertanto meravigliare, ad onta di alcune
pretestuose polemiche attuali, la mancata attuazione di
talune disposizioni statutarie. Nella sostanza invece
venivano recepite le posizioni di La Loggia, sancite
soprattutto nell'art. 38, che prevedeva la costituzione di
un “Fondo di solidarietà nazionale” mediante il quale
lo Stato sarebbe dovuto venire incontro alle esigenze di
una regione già danneggiata da ottant'anni di vicenda
unitaria. Ci si potrebbe chiedere per quale ragione la Sicilia avesse
diritto a una tale riparazione, a preferenza per esempio
della Calabria o della Basilicata.
In realtà, più che alla pretesa inferiorità
assoluta accreditata dallo stesso La Loggia, le
facilitazioni sancite dall'art. 38 erano funzionali agli
interessi di una classe politica siciliana tutta tesa a
confermare il proprio ruolo di mediazione e di controllo
delle risorse che dal centro fluivano verso la periferia.
La vicenda dell'Ente
regione, dalla sua origine ai nostri giorni, dimostra il
divorzio, avvenuto in Sicilia, tra la prassi regionalista
e le più genuine esigenze di autogoverno e decentramento
locale. Fra l’altro, non è senza conseguenze sul piano
politico e istituzionale che esso sia stato approvato
prima della elezione della Costituente, e quindi messo in
qualche modo al riparo delle tendenze rinnovatrici
espresse dalla Costituzione. Questo era almeno il
tentativo dei gruppi più retrivi, che però non tiene
conto del fatto che lo Statuto poté nascere nel clima
democratico favorito dalla Resistenza e che in nessun
altro ambito politico e ideale sarebbe stata tollerabile
un’ autonomia come quella ottenuta dalla Sicilia.
Si tratta uno dei
tanti aspetti contraddittori di questa storia difficile e
drammatica. La
burocrazia regionale ha ereditato in pieno la visione
accentratrice di quella statale, frapponendosi come uno
schermo tra le iniziative locali e i canali della spesa
pubblica. Una
visione più articolata della prospettiva del
decentramento era stata posta sin dal tempo della Consulta
da Mario
Mineo, un socialista,
e da Guarino Amella, demolaburista con decise simpatie
indipendentiste, che si faceva portavoce di una forte
tradizione municipalista, esistente ma minoritaria anche
in seno al Mis; e più in generale la riforma delle
strutture dell'autonomia è il problema che periodicamente
si ripropone nelle frequenti crisi dell'istituto
regionale. Ma
il prevalere, a tutt'oggi, della linea riparazionista,
tesa alla conquista di una forte posizione contrattuale
nei confronti dello Stato, dimostra quanto pesi una
cultura politica proveniente dalla tradizionale classe
dominante isolana ed ereditata dal ceto dei politici
professionali.
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