Il
ritorno all’Italia
Il ritorno della Sicilia all'amministrazione
italiana coincise con l'istituzione dell'Alto
commissariato (marzo '44), coadiuvato da una Consulta
regionale composta da eminenti politici prefascisti, tra
cui alcuni separatisti. Questi ultimi cercarono di
organizzare attorno all'istituto commissariale un vero
governo regionale, ottenendo che fosse nominato
commissario un politico siciliano simpatizzante per le
idee indipendentiste, Francesco Musotto, leader
combattentista
nel precedente dopoguerra e già
prefetto di Palermo di nomina alleata. Tale nomina ingenerò
qualche confusione sulle prospettive future, diversamente
da quanto succedeva in Sardegna, dove la nomina più
istituzionale del generale Pinna sancì pienamente la
continuità dello Stato.
Musotto non resse tuttavia alle tensioni provocate dal
processo di organizzazione dei partiti, che andava
limitando il ruolo dei notabili di vecchio tipo,
separatisti e non. Non
si trattava tanto dell'influenza reale di questi partiti,
quanto del sostanziale appoggio di cui potevano godere dal
governo centrale, che nel frattempo si era riorganizzato
accogliendo al suo interno uomini politici antifascisti
provenienti da tutte le province liberate dell’Italia.
Del secondo gabinetto Badoglio così venne a far parte Salvatore
Aldisio, esponente di
primo piano del popolarismo sturziano in Sicilia nel primo
dopoguerra. Egli pose mano alla riorganizzazione dello
Stato, rimuovendo i prefetti di nomina alleata che erano
stati provvisoriamente posti a capo delle province e tra
cui i separatisti trovavano i maggiori appoggi. Questa
operazione fu accompagnata dall’attribuzione di un ruolo
maggiore ai partiti del Cln nella costituzione delle
amministrazioni locali. In attesa di nuove elezioni ogni
comune avrebbe trovato un minimo di rappresentanza
democratica nella collaborazione tra i partiti sul modello
che si era stabilito al nord con la lotta antifascista. Il
ricorso al modello del Cln consentì di riallacciare,
almeno idealmente, i rapporti tra le due parti
dell’Italia separate dal fronte; d’altronde i partiti
rappresentarono anche di veicoli per riprendere i contatti
con la cultura e con le tensioni europee, per uscire dal
provincialismo in cui la Sicilia rischiava di trovarsi.
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