La
repubblica siciliana e gli Alleati
All’arrivo degli
anglo-americani un manifesto accolse i liberatori
annunciando alla cittadinanza gli obiettivi del Comitato
per l’indipendenza:
si dichiarava decaduta la monarchia e, con essa,
l'obbligo statutario, sancito dal plebiscito del 1861, di
fedeltà da parte dell'isola all'unità nazionale; di
conseguenza, si chiedeva agli Alleati di proclamare una
repubblica siciliana.
I Savoia erano accusati dei torti storici fatti
all'isola, di aver agevolato l'ascesa del fascismo, ma in
realtà il motivo di una così traumatica e plateale
rottura delle classi dirigenti con la monarchia era da
cercare nell’atteggiamento che il re e Badoglio avevano
assunto in quei giorni davanti alla crisi provocata
dall’occupazione alleata. Il ritardo, con cui i
rappresentati dello Stato italiano presero le distanze dal
fascismo e dalla Germania e, infine, cercarono di uscire
dalla guerra, creò un moto di sfiducia in tutti gli
strati sociali: in Sicilia la manifestazione più
importante fu, appunto, il separatismo.
Inizialmente
alcuni esponenti dell’antifascismo siciliano
interpretarono questa presa di posizione come il tentativo
di creare le prime basi di un nuovo Stato italiano, in
concorrenza con il fascismo al nord e con il governo che
il re aveva instaurato al sud dopo la fuga dell’8
settembre. Ma i separatisti non erano molto sensibili a
quanto avveniva fuori dall’isola, quanto piuttosto
interessati a staccarsi dall’ originaria compagine
nazionale per sottrarsi alle responsabilità della guerra
e della sconfitta che fatalmente sarebbero ricadute
sull’Italia. Soprattutto volevano evitare che le
tensioni democratiche che già serpeggiavano nel paese e
in Europa potessero contagiare la Sicilia.
Le proposte
del Comitato per l’indipendenza della Sicilia non ebbero
una grande accoglienza da parte degli Alleati, che di
questa chiusura separatista furono preoccupati poiché
intendevano trovare al più presto una interlocuzione
valida a livello nazionale.
Esse rappresentarono piuttosto il punto di partenza
di un nuovo movimento politico, grazie alla convergenza
con il nucleo robusto della possidenza agraria catanese e
palermitana, interessato a mantenere la propria egemonia
al di là del mutamento di regime.
Aderirono all'appello alcuni leaders
della grande proprietà isolana, quelli che già nel
primo dopoguerra, dalle file del partito agrario, avevano
appoggiato il fascismo, come i Tasca, i Carcaci, i Bruno
di Belmonte. L'adesione
dei maggiori possidenti trainò quella dei gabellotti
mafiosi, come Genco
Russo da Mussomeli, Michele
Navarra da Corleone,
e il più noto tra tutti, don Calogero
Vizzini da Villalba. Altro gruppo di rilievo del separatismo fu quello dell'élite
agraria di Caltagirone, elemento fortemente
caratterizzato dalla comune esperienza cattolico-sociale
che si richiamava all'insegnamento di Luigi Sturzo; questo
gruppo, pur mantenendo la propria originale fisionomia,
aveva occupato il potere locale negli anni Trenta, stretto
attorno alla sturziana Cassa rurale S. Giacomo. Luigi La
Rosa e Silvio
Milazzo furono
gli esponenti di spicco del popolarismo-separatismo
calatino.
...:::: torna
su
...:::: vai
paragrafo precedente
...:::: vai
paragrafo successivo
...:::: torna
al sommario della lezione
|